Durante la mia lezione all’ “Università per Stranieri di Perugia” sono stato intervistato dal TG3 Regionale Umbria.
«Il rap ti avvicina all’utilizzo della parola e per farlo sempre meglio devi ampliare il tuo vocabolario. Questo gioco diventa veramente importante quando vuoi emergere, perché se hai un linguaggio basilare dopo un po’ sarà difficile raccontare, quindi cercherai di inserire sempre più parole per iniziare a fare quello che si chiama “wordplay”: giocare con le parole. In tutto questo ci può essere il dialetto, e ci possono essere più lingue».
«On February 2, the Department of Italian Studies at University of Toronto hosted a concert by Italian rapper and educator Amir Issaa. The event started with a question and answer period focused on Issaa’s book, Vivo per Questo, as well as rap as a tool for expression, education, and social justice.The Varsity spoke with Issaa and Angelica Pesarini, an assistant professor in the Department of Italian Studies and the Centre for Diaspora and Transnational Studies, about the event, its connections to the global antiracism movement, and its relevance to students in Canada».
Nuova intervista suL’Osservatore Romanoa cura diAlicia Lopes Araujo in cui abbiamo parlato del mio impegno come educatore nelle carceri. Tra le tante esperienze gli ho raccontato la più recente, che è il progetto “Ti leggo” in cui mi ha coinvolto Fondazione Treccani Cultura.
«Nell’intervista al nostro giornale va dritto al sodo, definendosi «un rapper, una persona che usa le parole per esprimersi, uno scrittore». In lui memoria del passato, consapevolezza del presente e aspirazioni future s’intrecciano in cerca di un equilibrio, ricercato sin da piccolo, anche tra più mondi, che diventa armonia in versi e in musica. A soli tre anni, finito in carcere il padre, rimase solo con la madre, mentre nella sua vita in bilico il rap diventava l’àncora di salvezza: «da bambino i problemi familiari mi avevano portato a chiudermi. Non era facile accettare che mio padre fosse detenuto». Poi è arrivato il rap. «Ho capito da subito che poteva essere un mezzo per esprimermi e da lì ho iniziato a scrivere, a sprigionare le emozioni». Con la catarsi il rap di Amir si è fatto poesia e la parola poetica un’esperienza culturale condivisa».
Ascolta l’intervista andata in onda su Rai Radio 3 all’interno del programma Fahrenheit per approfondire il discorso sul rap e la violenza di cui ho parlato ieri su la Repubblica e nel mio libro Educazione rap.
«Le parole sono delle armi che possono far male. A scuola questo non lo avevo capito, non pensavo si potesse attaccare una persona senza insultarla. Poi, ho cominciato a leggere. Aprivo un libro e trovavo qualcosa di interessante, e ho iniziato a pensare che le parole potevano anche costruire qualcosa, potevano aiutarmi, potevano salvarmi. Il rap può controllare la conflittualità, lo dico negli incontri e nei miei brani più recenti, ma sono consapevole che esiste il rischio di innescare il processo inverso, e sollecitare un’aggressività incontrollata soprattutto negli ascoltatori più giovani. Tutta la violenza che avrei voluto sputare fuori quel giorno, e ogni volta che la vita mi ha messo un po’ all’angolo, dovevo farla diventare inchiostro per riscrivere la mia storia, e così ho fatto in tantissime canzoni pubblicate in questi vent’anni di carriera come rapper, una carriera in cui mi sono messo a nudo».
Su La Repubblica di oggi trovate una breve intervista in cui ho raccontato il mio punto di vista sulla situazione attuale del rap in Italia. Come ho spiegato nel libro Educazione rap questo genere musicale aiuta a raccontare le difficoltà ed è uno strumento narrativo potente alla portata di tutti. Il rap non è la causa della violenza: è un genere musicale, non una condizione psicologica. Bisognerebbe invece ascoltare con più attenzione e senza pregiudizi cosa hanno da raccontarci le nuove generazioni italiane nelle loro canzoni, e poi chiederci perché sono così arrabbiate con la società in cui stanno crescendo. In questo modo sì che, forse, potremmo individuare qualche causa.
“Il rap mi ha salvato. Figlio di un detenuto a Regina Coeli ero chiusissimo ma appena ho scoperto il rap ho trovato voce e parola. Mia madre mi ha dato tanto amore ma non un’educazione culturale, e grazie alle rime mi sono confrontato con la lingua, con le parole, con la consapevolezza sociale. Ho vissuto sulla mia pelle il rap come voce di chi non ha voce”.
Oggi su La Repubblica Firenze un’ intervista di Fulvio Paloscia in cui abbiamo parlato del mio libro Educazione rap, che presenterò domani al festival La città dei lettori con Libernauta – Ore 10:00 Villa Bardini.
SuRolling Stone Italia si parla di Educazione rap in una lunga intervista con Mattia Barro. L’obiettivo di questo nuovo progetto è portare il rap e la cultura hip hop nelle scuole Italiane attraverso un testo didattico che non venga percepito come un manuale, ma come uno strumento nato per divulgare e far capire il potenziale espressivo e di rivalsa sociale che c’è dietro a questa musica.
Su Rai2 all’interno del programma “Protestantesimo” è andato in onda un servizio di Lucia Cuocci in cui si è parlato del progetto di rap e regia con Daniele Napolitano in collaborazione con Esercito della Salvezza.
Nuova intervista a cura di Angiola Codacci Pisanelli
“A vent’anni anni Amir Issaa era un ragazzo di Roma che costruiva la sua strada rappando la vita quotidiana del suo quartiere, Torpignattara. Oggi è un artista affermato che gira scuole e carceri insegnando quello che vent’anni di rap hanno insegnato a lui: ritmo e melodie, rime e metafore, ma anche i legami con la musica nera americana. E soprattutto, lo stile giusto per raccontare sogni e problemi di una generazione multietnica, trascurata dalla politica italiana ma interessante per il resto del mondo. Tanto che diverse università americane hanno invitato Issaa a raccontare l’Italia di oggi“
È importante parlare di Educazione rap su un emittente di rilevanza nazionale come RTL 102.5 perché l’ho scritto con l’obiettivo di trasmettere la mia esperienza al grande pubblico, e vi invito a guardare questa video intervista. È un testo di divulgazione nato con l’intento di andare oltre gli stereotipi e per fare chiarezza su alcuni aspetti educativi e pedagogici di questa musica che spesso restano in secondo piano rispetto alla parte più visibile. Per farlo ho messo sempre al centro le mie esperienze personali cercando di fare un’analisi critica. Sono felice dell’attenzione che sta ricevendo da parte dei media e posso dirvi che questo è solamente l’inizio di un lungo viaggio.